I maestri che, nella mia attuale gavetta, mi stanno indicando strade da percorrere, parlano dei poeti come di creature dissociate dal mondano e dalla cronaca; avanti, insomma, di venticinque anni. Profeti di quel che sarà, sanno, direbbe Pier Paolo Pasolini – la cui narrazione lo connota come di poteri visionari – ma non hanno le prove. E avvertono, moderni Tiresia, dei cataclismi che verranno. Post-Human Hells – Inferni Post-Umani, I Quaderni del Bardo, 2024, Lecce di Stefano Donno, con dotta prefazione di Laura Garavaglia, muove nei colori del profetico ma con accezioni dissimili dalla premonizione. Viene utile quanto dice Tiresia a un Edipo disperato: Adesso guardi dritto ma presto non vedrai che tenebra. Stefano Donno non premonisce; varca la soglia che ci separa dalla distopia e vive la distopia e canta il disastro. Non indovina; assiste alla notte del mondo. È, quella di Donno, una raccolta connotata politicamente. Duchamp, prevedendo la deriva dell’arte, parlava non già più di binomio forma-contenuto, ma di progetto, quanto resta all’artista in termini di originalità. Post-Human Hells è brillante anzitutto nella definizione di sé come oggetto, come materia, come progetto editoriale. Se è vero che non si può, innovando, prescindere dai capisaldi tradizionali, Donno rispetta, sul piano formale, una poesia classica: e sono quartine in rima baciata. Edotto di quanto la poesia sia, prima ancora che veicolo di messaggi, trasmissione fonetica di melodia, Donno fa sì che i suoi componimenti godano di musicalità, cantando il distopico come si canti una litania disgraziata. Ne riesce il latrato di un cane abbattuto: è la morte dell’uomo. Mai come singolo, si badi; è il collettivo, il sociale che sta collassando sotto il peso dello sviluppo (e non del progresso, per dirla ancora con Pasolini) capitalistico: aberrazione politica sfrenata, fascista, in grado di mutare l’assetto di un paese e l’assetto anche psichiatrico di un uomo. Ci dice, Donno, che siamo già all’inferno post-umano; quel che aggiunge di fantascientifico (termine che negli ambienti letterari, poiché rimanda alla letteratura di genere, è visto con snobismo ma che ha più di ogni altro registro quello di fare della letteratura forma di resistenza politica) sono le innovazioni che l’età della tecnica sta preparando e che prenderanno vita a breve. E che terrorizzano insieme ai disastri climatici ormai certi. Avendo ventun anni e appartenendo alla generazione di coloro cui è stato saccheggiato l’avvenire, tanto di affine a me ho trovato leggendo le poesie di Stefano Donno.
Donno si immagina all’inferno e, a
mo’ di menestrello, canta il mondo a lui attorno.
Ed è (Eliot) una terra desolata;
dove, pure, non più lillà crescono e dove forse non si porrà più di angosciarsi
per gli aprili crudeli, ché altre saranno le scansioni. È il desolato della
sovrapproduzione, della psicosi collettiva, del performativo che produce fino
al soffocamento di ogni soffio vitale; soffio vitale che il poeta – se è tale e
Donno, come attestano i suoi titoli, è – deve mantenere, perché il nostro
morire sia adornato, perché si inviti il mondo alla lotta.
Una poesia privata, tanto quanto una
poesia più direttamente sociale come quella di Donno, deve resistere al sopruso
di chi impera; altrimenti letteratura non è, ma belle canzoncine per stringere
mani ai convegni di poesia.
Ecco delineato, prima che mi addentri
nei versi, il progetto (leggersi con Duchamp) di Post-Human Hells.
L’impegno a resistere di un menestrello che vive l’inferno scaturito dalle
nostre smanie capitalistiche.
La raccolta si articola in due
sezioni: poesie in inglese e poesie in italiano. Lingua franca, lingua madre.
Lingua dei computer, lingua di Dante. Ogni poesia, come vuole il titolo,
descrive un certo girone dell’inferno in cui Donno si è immesso.
La cultura di Donno gli permette di
non polarizzare le sue idee, e di pensare l’intelligenza artificiale (prima
poesia) non già solo come un possibile inferno, ma anche come strada da
percorrere per raggiungere forme di conoscenza finora inaudite. Chiude il primo
componimento il verso utopistico, che entra in rapporto ossimorico col titolo e
con la voce della raccolta, il verso: We will find our path to the divine.
E sarà un divino cibernetico, di cui la Bibbia non poteva parlare.
Le poesie del primo blocco compongono
la fauna del postumano. Segue all’AI un’ode al robot che ne magnifica l’avvento
caratterizzandolo di attributi messianici, e così per la poesia sul cyborg.
Quando ho finito di leggerlo, il
primo blocco mi ha indotto a concentrarmi sulla disposizione delle poesie. Si
nota, qui, la qualità non solo di un poeta ma di un narratore. Tra i principi
più importanti dello storytelling, quello del setup e del payoff, semina e
raccolta, fornire un dato e ampliarlo in un secondo momento. Dopo la poesia sul
multiverso, in cui Donno spera di perdersi, sono descritte, in tre componimenti
diversi, tre diverse apocalissi.
Alla luce dell’introduzione, alla
luce del titolo alquanto apodittico, perché incensare l’inferno, perché tessere
le lodi dei robot che ci soppianteranno?
L’autore che dialoga esiste? O
l’autore sparisce con l’immissione dell’opera nel mondo (come vuole il
postmoderno, la morte dell’autore)? Propendo per la seconda. Utile a livello
politico è il dialogo non già con chi ha pensato l’opera, ma con l’opera. Prendere
in mano Post-Human Hells non è conversare con Stefano Donno; è
conversare con il segno che Donno, prima di morire in quanto autore ed
esautorarsi dal tessuto dialettico dell’opera, ha lasciato. Sicché sono,
travisamento e fraintendimento di un’opera, concetti inesistenti. L’autore è
edotto del fatto che muore quando un terzo legge quel che ha prodotto; e lo
deve accettare. Deve accettare che l’opera non sia letta come voleva venisse
letta; in caso contrario, non ci sarebbe più politica ma imposizione fascista.
E Donno lo sa, ed è per questo che il testo è disseminato di aporie e
ambiguità, e per questo anche la duplicità linguistica inglese-italiano. Quanto
detto fa parte del progetto, pensato e ripensato perché potesse accendere
dialogo.
Arriviamo alle poesie in italiano e
ci accorgiamo di un cambiamento.
La sintassi è sincopata, le rime
scompaiono in virtù di sparute assonanze e i versi liberi tendenti in alcuni
casi alla prosa poetica rimandano alla tradizione beatnik dei vari Corso
e Ginsberg. Sperimentale la poesia Inferno
16: assenza di punteggiatura, grafica schizofrenica e, come ultimo verso,
un caps lock che cita: “CONTINUARE QUI”. Una poesia che si forma, muta e si
disfa nel suo stesso svolgersi. E gli echi sono derridiani: disseminazione,
differimento del significato, traccia, iterazione della verità con la necessità
che la verità venga traviata.
L’opera di Donno travalica il confine
della buona poesia. Non è più canto da ascoltare, melodia, pregio di sillabe
accentate correttamente. Post-Human Hells innova e sperimenta; coraggio
encomiabile, dunque, e rischio. Ché l’opera di Donno non può farsi incapsulare
in canoni preimposti dalla letteratura, è un oggetto che evade dai confini, è
lo schizofrenico foucaultiano che in società non può incastrare la sua
pulsione, la sua energia. Le poesie di Donno, che illustrano fauna e flora del
nostro avvenire sempre più intravedibile, sono poesie di un Es deleuziano,
antiedipico, che caga e fotte. Non c’è il vincolo metrico; non c’è il vincolo,
nella seconda metà, di rima e punteggiatura; non c’è la chiusura nella
tradizione e quindi abbonda il linguaggio matematico; compare spezzando il
flusso la citazione ad Asimov, stabilendo un rapporto di intertestualità di
matrice postmodernista.
La qualità della poesia è alta. I
versi inglesi sono cantati: è l’ausilio della rima e della scansione in
quartine. I versi italiani sono fluviali, sincopati, feroci, violenti,
sessuali: è il debito con la Beat Generation.
Ma più ancora che essere buona poesia
è un progetto artistico intermediale impossibile da riassumere in una
recensione breve, ma che trova sintesi in una poesia che tale non è ma
dichiarazione d’intenti che al titolo Inferni Postumani si connette
salda. È il componimento, o capitolo, o immagine, numero diciotto. Titolo: Sistema
Binario. Detto componimento è scritto solo per 0 e 1, codice binario, in
versi.
Donno, autore di esperienza, sa che
si deve rifuggire il didascalismo, sa che non si deve imboccare il lettore, ed
è per questo che il lettore travisa sempre le intenzioni del creatore ed è per
questo che, dopo la ricezione, l’opera vive di dialettica nonostante il
mittente esautorato.
Qual è l’inferno di un poeta? La
scomparsa delle parole che, caricate lessicalmente, creano musica e vividezza
significante. Una poesia scritta in codice binario è scenario quanto mai
apocalittico per Donno, che della parola fa vita.
E si chiede, Donno, scrivendo in una
lingua non sua, dove le parole sono state bandite: stiamo progredendo o gli
ultimi dieci anni sono sviluppo di un’età nichilista che ci porterà a perderci
come razza umana in virtù di una produttività eretta a precetto etico-estetico,
eretta a Spirito Santo?
Solo in chi non produce, in chi si
affranca dalle dinamiche del potere, c’è la salvezza.
Quindi nei pazzi, negli schizofrenici
che nelle strutture sociali non possono incasellarsi.
E, quindi, nei poeti.
*Nato a Milano il 26/03/2003, dove studia presso la scuola Mohole
scrittura creativa. Scrive poesie, saggi brevi, racconti e romanzi. Il suo
romanzo d’esordio è iscritto al Premio Neri Pozza e verrà iscritto al Premio
Calvino. La sua produzione è per ora inedita.
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